La vulvodinia è un dolore vulvare della durata di almeno tre mesi, senza chiara causa identificabile.
La vulvodinia è distinta in generalizzata, quando il dolore è presente in tutta la vulva, o localizzata, quando il dolore è localizzato in un settore della vulva, ad esempio il vestibolo vaginale, ossia l’area vulvare posta all’interno delle piccole labbra (vestibolodinia) o il clitoride (clitoridodinia).
La vulvodinia è distinta inoltre in spontanea o provocata. Nel primo caso il dolore si manifesta in assenza di qualunque stimolo. Nel secondo caso il dolore è provocato dal contatto fisico con stimoli che normalmente non provocano dolore, come indumenti, tampone, toccamenti vari, rapporto sessuale, stazione seduta. Il dolore provocato da stimoli non dolorosi è detto allodinia.
Il tipo più frequente di vulvodinia è la vestibolodinia provocata.
No. Patologie vulvari in atto responsabili di dolore vulvare escludono per definizione la vulvodinia.
Generalmente, le patologie vulvari di natura infettiva, infiammatoria, traumatica, tumorale o da difetti ormonali (atrofia dopo la menopausa o durante l’allattamento) sono responsabili di dolore quando provocano un danno della cute, come un’erosione (lesione cutanea superficiale) o un’ulcera (lesione cutanea profonda). Ne consegue l’attivazione di cellule del sistema immunitario, che producono sostanze chimiche in grado di sensibilizzare le fibre nervose della vulva. Questo tipo di dolore è detto infiammatorio.
Al contrario, il dolore della vulvodinia non è dovuto all’attivazione di cellule immunitarie. Infatti da anni non è più utilizzato il termine “vestibolite”. Conseguentemente sono inutili i farmaci antiinfiammatori, come i corticosteroidi, e farmaci, come la palmitoiletanolamide, che impediscono il rilascio di molecole infiammatorie da parte di alcune cellule infiammatorie, dette mastociti.
No. Il dolore dovuto ad un danno delle fibre nervose è detto dolore neuropatico. Patologie responsabili di danno nervoso escludono per definizione la vulvodinia. Queste patologie includono ad esempio la nevralgia da virus dell’herpes zoster (il cosiddetto fuoco di Sant’Antonio), il danno dei nervi provocato dal trauma da parto o in seguito ad intervento chirurgico, la nevralgia da compressione del nervo pudendo. Il nervo pudendo è il principale nervo vulvare, che può essere compresso lungo il suo decorso dal midollo spinale alla vulva.
Al contrario, nella vulvodinia le strutture nervose sono anatomicamente integre.
Il dolore nella vulvodinia è un dolore di tipo disfunzionale, ossia dovuto ad una disfunzione del sistema nervoso centrale, che elabora in modo scorretto i segnali provenienti dalla periferia del corpo.
Nella paziente affetta da vulvodinia, le cellule nervose del midollo spinale, che normalmente ricevono gli stimoli dolorosi provenienti dalla periferia del corpo: 1. inviano segnali dolorosi al cervello anche in assenza di stimoli periferici, con conseguente dolore spontaneo; 2. vengono attivate anche da stimoli periferici tattili non dolorosi, con conseguente allodinia.
Il dolore disfunzionale è provocato da una predisposizione al dolore centrale, che può essere di natura genetica o psicologica (ansia, depressione, disturbo da stress dopo un trauma psichico o fisico).
In presenza di predisposizione al dolore centrale, fattori periferici scatenanti, come un’infiammazione periferica (ad esempio un’infiammazione da Candida), provocano un dolore che: 1. persiste nel tempo anche quando l’infiammazione periferica si è risolta; 2. si estende in regioni del corpo distanti rispetto alla sede iniziale dell’infiammazione periferica.
Le donne affette da vulvodinia presentano infatti un’ipersensibilità al dolore non solo in sede vulvare, ma anche in altre regioni corporee. Inoltre frequentemente presentano altre sindromi dolorose disfunzionali, come la fibromialgia, la sindrome della vescica dolorosa, la sindrome del colon irritabile, la cefalea di tipo tensivo e il disturbo dell’articolazione temporomandibolare.
Conseguentemente, la terapia della vulvodinia e delle sindromi dolorose disfunzionali deve essere orientata non alla cura dei singoli organi periferici, che di fatto sono sani, ma a rimuovere la sensibilizzazione delle cellule del sistema nervoso centrale.
La diagnosi di vulvodinia viene posta mediante anamnesi, esame obiettivo ed esame neurosensoriale.
L’anamnesi è in primo luogo la raccolta dei dati riguardanti il dolore (anamnesi algologica): storia (evento scatenante, durata), localizzazione, intensità, fattori di provocazione (dolore spontaneo o provocato). Con l’anamnesi vengono indagate anche altre sindromi dolorose, patologie psichiatriche, abitudini igieniche e vestiarie, trattamenti già eseguiti o in atto.
L’esame obiettivo è finalizzato ad escludere patologie vulvari in atto responsabili di dolore vulvare. Con la palpazione è possibile evidenziare l’ipertono dei muscoli del pavimento pelvico, ossia i muscoli che come un’amaca chiudono in basso la cavità addominale. Sono i muscoli che una persona utilizza ad esempio quando deve trattenere l’urina. In alcuni casi di vestibolodinia provocata questi muscoli sono molto contratti, e questa contrazione a sua volta può essere responsabile di aggravamento del dolore, esattamente come il dolore da crampo muscolare.
L’esame neurosensoriale è comunemente svolto con un bastoncino cotonato, con cui è possibile registrare e mappare le aree di alterata sensibilità allo stimolo tattile. Non vanno utilizzati in ambito clinico gli esami sensoriali quantitativi, che misurano la soglia del dolore in risposta a stimoli di intensità graduata erogati con varie metodiche.
Non esiste un trattamento identico per tutte le pazienti. Viene generalmente raccomandato un approccio terapeutico multimodale, basato su counseling vulvologico, trattamento farmacologico, terapie fisioriabilitative, psicoterapia e, solo in alcuni casi e in ultima istanza, trattamento chirurgico.
Il counseling vulvologico comprende la spiegazione dei meccanismi alla base del dolore vulvare e il consiglio su misure igienico-comportamentali. Queste comprendono abolizione di indumenti attillati ed elasticizzati, utilizzo di biancheria intima in cotone bianco, utilizzo di assorbenti in puro cotone ed abolizione del salvaslip, detersione con acqua tiepida, utilizzo di adeguati detergenti intimi una sola volta al giorno, asciugatura mediante tamponamento, utilizzo di emollienti senza conservanti, gel lubrificanti ai rapporti, applicare un panno freddo o fare un bidet con acqua fredda dopo i rapporti sessuali, abolizione di esercizi fisici che comportano una eccessiva frizione della regione vulvare (bicicletta, cyclette, spinning), non trattenere a lungo l’urina e mantenere regolare lo svuotamento intestinale.
Sono consigliati in primo luogo farmaci per via orale, Questi comprendono antidepressivi (amitriptilina, venlafaxina e duloxetina) e antiepilettici (gabapentin e pregabalin). E’ importante chiarire che questi farmaci vengono utilizzati nella terapia della vulvodinia non per curare la depressione o l’epilessia, ma perche perché agiscono sui meccanismi alla base della disfunzione del sistema nervoso centrale, responsabile del dolore vulvare.
I prodotti topici, come gli anestetici locali, possono essere utilizzati, ma con cautela, per evitare problemi di irritazione.
Fisiochinesiterapia, coni vaginali, biofeedback e TENS (Transcutaneous Electrical Nerve Stimulation), sono particolarmente efficaci in caso di ipercontrattilità dei muscoli del pavimento pelvico associata a vulvodinia.